Dopo averci offerto con il suo primo romanzo “Vendi Napoli e poi muori” uno sguardo lungimirante su una Napoli del domani, all’insegna di gentrificazione e “napoletanità”, Gennaro Ascione ci regala un’altra immagine della sua città: Nella Napoli rinascimentale sconvolta da un misterioso morbo, due ambigui figuri sono accusati di essere untori. Sulle loro tracce, una giustizia vacillante incaricata di condurli nella chiesa sconsacrata adibita a tribunale, dove li attende il clamore del giudizio popolare. Tra intrighi, equivoci e colpi di scena, la ricerca della verità si trasforma in un affresco dei tempi che getta luce sulla nostra contemporaneità. Scritta in una lingua inventata, tra prosa, metro e rima, all’incrocio tra italiano del ‘500, napoletano, spagnolo, veneziano e latino, questa storia si racconta e si tramanda di bardo in bardo, a voce alta.